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Mario Giacomelli

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Mario Giacomelli ha messo in piedi una visione personalissima di un lontano e mitico mondo rurale. Un viaggio ancestrale ed evocativo in luoghi perduti nella nostra memoria, una fotografia di meditazione ed estemporanea allo stesso tempo.
Fu sempre grande la sua attenzione nei confronti del paesaggio. Ben presto esso divenne lo spazio del pensiero ed il luogo della meditazione. Nel viaggio verso la riscoperta della terra, come un piccolo uomo alla riscoperta dell’umanità, Mario Giacomelli diede il massimo della sua capacità di narrazione evocativa, regalando allo spettatore un mondo ricco di vita, sempre minacciato dalla presenza della morte, una morte palpabile ed unica nel suo genere visivo, una morte naturale e immaginaria che venne raffigurata nella rappresentazione di alberi vecchi, morti, antichi come antichi erano quegli anziani dell’ospizio di Senigallia. Le immagini e le fotografie di Giacomelli rappresentarono uno specchio su delle realtà prima di tutto interiori, poi umane e, in terzo luogo, sociali.

Mario Giacomelli

Le fotografie appaiono proprio come sogni, surreali momenti interiori che dalla realtà traggono solo l’estetica narrativa, ma che nella realizzazione, nella presentazione al pubblico, nello stile, nella tecnica sono finestre sull’io del fotografo. La fotografia di Giacomelli fu una narrazione costante, non creò semplici immagini, creò racconti, storie di vita, di una vita reale interpretata all’interno di schemi psicologici ben precisi. Questi erano: la poesia, l’amore, la paura, i ricordi dell’infanzia, la sensibilità per un’estetica fotografica fatta di meditazione, di stasi, di una quiete che in certi momenti sembrava angoscia, sembrava la trasposizione di sentimenti forti come la vita e la morte, la solitudine. Tra il 1957 e il 1959 Mario Giacomelli realizzava il racconto su Scanno, “…un paese di favola, di gente semplice, dove per la via principale trovi le mucche, le galline, anche persone… E’ bello anche il contrasto tra le strade bianche e il contrasto di donne e di uomini con mantelli scuri” come osserva Ennery Taramelli in Viaggio nell’Italia del Neorealismo.

Mario Giacomelli

Tecnicamente il lavoro si presenta come una registrazione di attimi rubati alla vita comune del paese. Giacomelli espresse al massimo il suo poco considerare l’inquadratura, la messa a fuoco, la perfezione tecnica di ripresa. Si concentrò sulla realtà, sulla gente, sulla campagna, sul lavoro. Diede vita a delle foto probabilmente lontane dalla purezza estetica ma cariche di un senso del reale e della vita raro nei fotografi a lui contemporanei. Anche in quell’esperienza apparve chiaro che la poetica del fotografo si mosse su linee ideali ben precise. Rinunciando all’estetica Giacomelli presentò quelle immagini come il frutto del suo spirito e come la rappresentazione intima delle sue sensazioni ed emozioni.
In queste immagini la fotografia si spoglia del suo essere documentazione diventando elemento di riflessione, il concepimento di una realtà interiore o di una realtà esterna filtrata dalla sensibilità dell’autore. Le figure cessano di essere persone diventando fantasmi.

Mario Giacomelli

Sembrano aggirarsi lentamente in un ambiente surreale, sembrano vivere in una realtà che non è realtà ma costruzione mentale dell’io del fotografo. Quelle figure solitarie sembrano ricordare le suggestioni di quella morte lenta presente nell’ospizio di Senigallia. Sembrano quei vecchi che usciti da quella prigione si aggirano silenziosi per le strade del paese, come se volessero seguire il fotografo, perseguitarlo, diventarne il soggetto primo di ogni sua immagine. Angoscia, senso di morte, oscurità psicologica, purezza. Tutti elementi che coincidono con le foto di Scanno e di quelle foto ne diventano l’ossatura, la testimonianza concreta di un bisogno di fotografare per esorcizzare prima di tutto le proprie paure, i propri ricordi e, poi, per documentare. Scanno è stato un non-documento del Mezzogiorno, è stata la visione di un uomo e lo sfogo di un bambino scosso nella mente dai ricordi di figure scure e oscure. Ha rappresentato un intimo inno alla solitudine esistenziale.

Mario Giacomelli

http://www.mariogiacomelli.it

http://www.ilpost.it/2016/05/18/mostra-foto-di-mario-giacomelli/

 

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